Il genio indiano della matematica: L’uomo che vide l’Infinito

uomochevideinfinito3Il film è basato sul libro “L’uomo che vide l’infinito – La vita breve di Srinivasa Ramanujan, genio della matematica”, di Robert Kanigel. Racconta la vera storia di Srinivasa Ramanujan, genio indiano della matematica, completamente autodidatta. Per far conoscere al mondo la sua mente, dovrà lasciarsi alle spalle l’amata sposa Janaki, interpretata da Devika Bhise (“Un marito di troppo”,) per intraprendere un lungo viaggio che lo porterà a Cambridge. Il film racconta di un ragazzo (Dev Patel) che nella Madras (India) degli anni ’10 del secolo scorso rivoluziona molte delle teorie matematiche dell’epoca, con talento puro e genio quasi istintivo.
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Determinato a seguire la sua passione nonostante lo scherno e il rifiuto dei suoi pari, Ramanujan scrive una lettera a G.H. Hardy (Irons), un illustre professore di matematica presso il Trinity College a Cambridge. Hardy riconosce subito l’originalità e la brillantezza del talento grezzo di Ramanujan e contro lo scetticismo dei suoi colleghi, s’impegna a portarlo a Cambridge in modo da poter esplorare le sue innovative teorie. Ma l’India è ancora una colonia britannica e il ragazzo ha bisogno dell’approvazione accademica quindi si reca a Cambridge, dove il professore G. H. Hardy (Jeremy Irons) è interessato ad approfondire le questioni sollevate da quelle teorie: ma l’accademismo occidentale, il razzismo e la guerra metteranno molti bastoni tra le ruote. Bambino prodigio, Ramanujan imparò la matematica in gran parte da autodidatta.
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Lavorò principalmente sulla teoria analitica dei numeri e i suoi risultati divennero fonte di ispirazione per un gran numero di ricerche matematiche. La collaborazione con il suo mentore, l’eccentrico professore G.H. Hardy interpretato nel film da Jeremy Irons, fu oltremodo fruttuosa tanto che Hardy la descrisse come “l’unico episodio romantico della mia vita”.
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GH Hardy (Jeremy Irons) divenne il suo mentore e lottò insieme a lui contro i pregiudizi verso un indiano che aveva la colpa più imperdonabile: quella di essere un genio. Srinivasa Ramanujan, morto a soli 33 anni nel 1920 per tubercolosi, non solo era un matematico geniale, ma aveva anche, tra le sue colpe, di essere autodidatta. Ovvero arrivava a delle teorie matematiche geniali, senza alcun training formale, insomma non sapendo esattamente dimostrare come ci fosse arrivato.